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Foibe: un’altra storia/2

Scritto dello scrittore e giornalista Giacomo Scotti:

Il periodo delle cosiddette “foibe” istriane va dall’inizio della seconda metà di settembre al 4 ottobre 1943, coincidendo con l’insurrezione generale del popolo dell’Istria. Quell’insurrezione vide uniti croati, sloveni e italiani senza distinzione. Un primo tentativo di rivolta c’era già stato il 25 luglio, ma le forze di polizia lo impedirono ovunque, richiamandosi allo stato di guerra. All’indomani dell’8 settembre, invece, nulla poté fermare il popolo; il movimento assunse il carattere di una “jaquerie” contadina nell’interno prevalentemente abitato da slavi e di una rivoluzione antifascista sulla fascia costiera occidentale prevalentemente abitata da italiani. Il popolo, ma soprattutto croati e sloveni che erano stati oppressi per un ventennio, privati d’ogni diritto, perfino della lingua, esultò per la fine di una lunga tirannide e per la fine – almeno  così si sperava – della guerra; al tempo stesso fu reclamata la punizione dei fascisti e il loro allontanamento dal potere. Le autorità italiane, purtroppo, furono sorde alle richieste ed in molti casi reagirono ordinando di aprire il fuoco contro la folla, come avvenne a Pola. In quel capoluogo istriano stazionavano più di 15.000 soldati e marinai, ma questa enorme forza militare fu usata non per far fronte alla calata dei tedeschi che era stata preannunciata, ma per sbaragliare i dimostranti riunitisi nel centro città la mattina del 9 settembre: tre operai furono uccisi, numerosi altri feriti, altri ancora arrestati. Dopo di che, alcuni giorni dopo, l’intero potere militare venne ceduto a un battaglione di poco più di 350 tedeschi presenti in città da prima.
A fine mese, con l’arrivo di alcuni reggimenti corazzati germanici che occuperanno l’intera penisola, i gerarchi fascisti usciranno dall’ombra in cui si erano nascosti per una settimana, accompagnando quei reparti nazisti nelle azioni di rastrellamento, repressione e sterminio. Il 16 settembre ci fu la prima strage: ai prigionieri rilasciati dal carcere di Pola per iniziativa dei secondini, fu data una caccia spietata dai fascisti e dai tedeschi e tutti quelli che vennero catturati, almeno venticinque, furono trucidati o impiccati agli alberi di via Medolino e in località Montegrande.

Nell’interno dell’Istria, dove invece i tedeschi non riuscirono a mettere piede, il popolo prese nel frattempo il potere nelle proprie mani, costituendo Comitati di liberazione, Comitati di salute pubblica eccetera. Ma spesso ci fu il caos. Qua e là i contadini assalirono i Municipi, le Case del Fascio, i tribunali ed altre istituzioni, dando fuoco agli archivi; inoltre aggredirono, arrestarono e talvolta uccisero persone considerate caporioni del vecchio regime. Alcuni gerarchi, alcuni ricchi possidenti terrieri, ma anche semplici fascisti’ e perfino innocenti furono massacrati. I più, tuttavia, vennero consegnati agli improvvisati “tribunali del popolo” che dal 15 settembre avevano cominciato a funzionare a Pisino, Pinguente ed Albona. Quasi sempre i “giudici” condannavano gli imputati alla fucilazione dopo processi sommari ed i cadaveri trovarono oltraggiosa sepoltura nelle cavità carsiche dette “foibe” o nelle cave di bauxite, alcune delle quali erano state già adoperate allo stesso scopo dai fascisti nel periodo fra le due guerre mondiali.
Nella loro maggioranza le vittime dell’insurrezione furono italiani, ma non ci fu un piano preordinato di genocidio, né si può parlare di genocidio.
In molte località i fascisti arrestati furono rimessi in libertà; a Pinguento furono liberate 100 persone. Gli italiani. furono la maggioranza delle vittime perché in stragrande maggioranza erano stati italiani i podestà, i segretari del Fascio, i detentori del potere politico ed economico, i grandi proprietari terrieri ed altri esponenti del regime. Non mancarono però fra le vittime croati e sloveni, accusati di essersi posti al servizio dei fascisti durante il ventennio. Fra gli slavi, anzi, furono più numerosi gli innocenti uccisi per vendette personali. D’altra parte, in una regione dove nei secoli, attraverso matrimoni misti, si sono mescolati slavi e italiani, è pressoché impossibile distinguere dai cognomi gli uni dagli altri. Tanto più che nel ventennio fascista il regime cambiò per legge i cognomi ai cosiddetti “allogeni” e/o “alloglotti”. I Nikolic’ divennero Niccolini e Niccoletti, i Simunovic’ cambiarono in Simonetti, Simoni e Simoncini, i Milic’ si trasformarono in Millo, gli Jugovac in Meriggioli, i Miljavac in Miglia, i Knapic’ in Cnappi e Nappi, e si potrebbe continuare. Come distinguere slavi da italiani leggendo i nomi e cognomi degli infoibati nel settembre 1943? Erano tutti italiani. Certo, ci fu anche una spinta nazionalistica slava, e non sarò io a sminuire il grado della feroce violenza e l’orrendo aspetto degli infoibamenti; né si può coprire col silenzio il sangue delle vittime innocenti della rivolta istriana. E’ però necessario tracciare un quadro corretto degli avvenimenti, contestualizzandoli, inserendoli nella cornice storica, ricordando i precedenti.
Le vittime di un odio accumulatosi per venti anni, frutto di umiliazioni, espropriazioni, persecuzioni, di centinaia di condanne al carcere, al confino ed anche a morte, furono alcune centinaia, ma le cifre sono ballerine. Dalle cavità carsiche furono estratte 203 salme nelle operazioni di recupero organizzate dalle autorità nazifasciste e, sempre in quell’epoca, strumentalizzate per mesi e mesi ai fini della propaganda anti-slavocomunista. Tuttavia, sempre in quell’epoca, la cifra fu “arrotondata” e portata alle 350-400 unità con l’aggiunta ad occhio e croce di salme che non poterono essere recuperate e di cosiddetti “scomparsi”. Nel secondo dopoguerra gli storici più seri, al di là degli orientamenti politici, hanno calcolato che le vittime ammontarono a circa 500. Su questa cifra concordano S. Millo autore del volume “I peggiori anni della nostra vita”, Galliano Fogar, Roberto Spazzali, Raoul Pupo ed altri.
Gli storici ex fascisti o neofascisti, invece, sparano cifre che vanno dai 600 di Flaminio Rocchi agli 800 di Gaetano La Perna, per salire via via a mille, alcune migliaia. Naturalmente “tutti italiani” e tutti vittime della “barbarie slavocomunista”. Luigi Papo ex ufficiale della Milizia fascista al servizio dei tedeschi in Istria, il più fecondo “storico” delle foibe di estrema destra, è arrivato a scrivere che gli “eccidi” portarono alla “eliminazione del 5 per cento degli Italiani”! Insomma, si sono toccati livelli incredibili di esagerazioni e di falsificazioni. Queste mistificazioni, dirò con Peter Behrens, non fanno certamente onore ai vivi che vedono travolta la realtà dei fatti, né fanno onore ai morti. Dietro c’è una voglia di giustificazione del tradimento, del collaborazionismo e dei crimini di guerra commessi dai fascisti. Più avanti fornirò alcuni esempi di come sono stati falsificati perfino gli elenchi nominativi degli infoibati per poter aumentare le cifre.
Ma prima è opportuno ricordare un altro fatto storico della vicenda istriana dell’autunno 1943, anche per rispondere a coloro i quali affermano che il “genocidio degli italiani in Istria è rimasto impunito”.
Alla breve parentesi dell’insurrezione popolare e della sanguinosa violenza che l’accompagnò, fece seguito l’ancor più feroce violenza degli occupatori tedeschi e dei collaborazionisti fascisti italiani. Dilagati in Istria con ingenti forze dal 2 al 10 ottobre, guidati dai fascisti locali, i tedeschi fecero terra bruciata appiccando il fuoco a decine di paesi, fucilando, impiccando, deportando. Nel solo mese di ottobre 1943 – stando ai loro bollettini di guerra – trucidarono 5216 persone, in maggior parte civili e partigiani, ma anche parecchi “badogliani”. Altre diecimila persone (certe fonti parlano di dodicimila) furono invece deportate. Per inciso l’Istria ha dato oltre 17.000 morti tra vittime della repressione nazifascista, morti nei lager e caduti nella Resistenza armata.
Riunitisi nel Partito Fascista Repubblicano, arruolatisi nella Guardia Nazionale Repubblicana, nella Milizia Difesa Territoriale e, più tardi, nella Decima Mas e perfino nei reparti SS e nella Gestapo, i fascisti tornarono al loro vecchio mestiere di manganellatori, torturatori, delatori, cacciatori di teste, di assassini, giustificando il tutto con il “diritto” di vendicare i camerati infoibati e con il “dovere” di “difendere l’italianità dell’Istria minacciata dalla barbarie slavocomunista”, come fu scritto allora e come si continua a scrivere oggi.

Ed eccoci alle falsificazioni operate negli elenchi degli “infoibati” dai revisionisti neofascisti, fra i quali troviamo uomini che comandarono reparti repubblichini postosi al servizio degli occupatori tedeschi in Istria, come il già menzionato Luigi Papo de Montona, che hanno annoverato fra le vittime delle foibe anche criminali di guerra che massacrarono civili e partigiani, ma ebbero la fortuna di morire combattendo. Comincerò dal nome di GIOVANNI POLLA, già brigadiere dell’OVRA passato alle SS ed alla Gestapo a Pola subito dopo l’annessione dell’Istria al III Reich nel quadro della “Adriatisches Kuestenland” nell’ottobre ’43. Questo Polla si distinse fra gli efferati torturatori di combattenti per la libertà caduti nelle mani degli agenti sotto il suo comando, soprattutto se erano italiani. Nell’ultimo scorcio della guerra, febbraio 1945, rimase ucciso in uno scontro nel centro di Pola, colpito dal fuoco di un gappista. Si era macchiato del sangue di decine e decine di civili istriani, italiani e croati senza distinzione; li aveva torturati mentre si trovavano in carcere prima di essere fucilati o impiccati. Era nativo di Altura nei pressi di Pola, dunque istriano, ma fu uno dei più feroci carnefici dei suoi conterranei.
Nell’elenco dei torturatori e degli assassini fascisti al servizio delle SS e della Gestapo in Istria troviamo ancora altri cosiddetti “infoibati”, tutti caduti invece in scontri a fuoco con gappisti istriani. Ricorderemo gli squadristi e agenti Francesco Mizzan di Pisino, che aveva sulla coscienza l’assassinio di Peppi Suster di Bellai, di Giovanni Suran, di Francesco Raunich e di altri corregionali trucidati già nell’ottobre 1943 quando il Mizzan passò al servizio dei tedeschi; l’ufficiale delle SS Ottone Niccolini di Pola ritenuto un sanguinario dagli stessi occupatori tedeschi dai quali fu comunque decorato con la Croce di ferro; Stevo Ravegnani da Rovigno, il federale Luigi Bilucaglia posto alla testa della Federazione Istriana del Partito Fascista Repubblicano, il vicefederale Giuseppe Zacchi; il comandante di un reparto della cosiddetta Milizia per la Difesa Territoriale, tenente Fausto Vardabasso, ed altri caporioni della Guardia Nazionale Repubblicana, tutti servi fedeli dei nazisti. Ottone Niccolini (già Nikolic’) pagò il fio dei suoi crimini rimanendo ucciso nello scontro con un gappista a Pola il 7 aprile 1945. Anche il suo nome viene spesso annoverato tra gli “infoibati” dai cosiddetti “storici” revisionisti. Così come quello di Giuseppe Bradamante, malfamato fascista di Stignano, assassino e torturatore di partigiani, da questi ucciso in uno scontro a Pola avvenuto il 1° ottobre 1944. La medesima fine fece l’agente delle SS Steno Ravegnani già eminente fascista di Rovigno, il quale si vantava in giro di aver ucciso 37 partigiani, fra i quali il capo dei combattenti italiani per la libertà in Istria, Giuseppe-Pino Budicin, caduto in mano ai tedeschi su delazione del Ravegnani e fucilato insieme ad Augusto Ferri, bolognese, l’8 febbraio 1944. Il nome di Budicin fu dato al più celebre battaglione italiano dell’Istria. Anche il già citato Niccolini andava vantandosi di aver ucciso di propria mano oltre 150 persone, bruciando case e villaggi interi. Tra l’altro gli uomini sotto il suo comando arrestarono una contadina di Resanzi, Rosa Petrovic, accusandola di aiutare i partigiani. Per costringerla a fare dei nomi, le strapparono gli occhi dalle orbite, ma la donna non parlò. Io personalmente ho conosciuto ed ho parlato con quella contadina facendomi raccontare le torture subite il 23 luglio 1944, il più lungo ed infernale giorno della sua vita.

Il villaggio istriano di Lipa, bruciato con tutti i suoi abitanti il 30 aprile 1944, resta uno dei simboli del martirio subito dall’Istria dopo l’occupazione tedesca. Esso è anche il simbolo del collaborazionismo criminale dei repubblichini italiani al servizio dei tedeschi nello sterminio del proprio popolo: 269 creature umane di ambedue i sessi e di ogni età, compresi i bambini nelle culle e di pochi anni, furono massacrate, bruciate vive; prima di essere trucidate molte donne vennero violentate. Fu un delitto spaventoso, suprema espressione della ferocia umana. A guidare i tedeschi ed aiutarli nel crimine furono i fascisti italiani.
Gli istriani trucidati in questo modo, fucilati o impiccati con la complicità dei fascisti furono complessivamente più di cinquemila, mentre ammontano a tremila i deportati nei campi di sterminio, dalla Risiera di S. Sabba a Trieste fino a Dachau, Auschwitz ed altri lager. Ecco, quando ricordiamo la pagina tragica delle foibe, non dimentichiamo quest’altra faccia della medaglia, molto più orrenda, l’interminabile capitolo delle vendette.
In un elenco di 237 infoibati redatto ancora nel novembre 1943 dalla Federazione del Fascio Repubblicano di Pola, elenco poi ampliato dai neofascisti nel dopoguerra, troviamo i nomi delle sorelle rovignesi Alice e Giuseppina Abbà che, invece, furono arrestate dai partigiani appena nel settembre 1944 e fucilate con l’accusa di essere state spie dei tedeschi. Fra i ventisei nominativi di Rovignesi dati per infoibati si fanno pure i nomi di Tommaso Bembo, Angelo Rocco e Vittorio Demartini, che invece rimasero uccisi sotto un bombardamento tedesco a Gimino alla fine di settembre del ’43. Insieme ai rovignesi c’è il sottufficiale tedesco Weber Gastone, anche lui elencato fra gli italiani infoibati, mentre venne catturato e fucilato qualche settimana dopo la fine della guerra, maggio 1945, per essersi macchiato di crimini di guerra. In un “Elenco delle persone uccise o scomparse nel settembre-dicembre 1943”, pubblicato da Gaetano La Perna, troviamo 360 nominativi di infoibati. Ebbene, almeno una cinquantina rimasero uccisi in scontri armati prima o molto dopo l’estate-autunno del ’43: ad esempio il maresciallo dei carabinieri Giuseppe Costanzo, caduto in uno scontro con i partigiani sloveni a Comeno il 10 agosto ’43, quindi lontanissimo dall’Istria. In questa (e ancor più in altre fonti di estrema destra) si legge poi di italiani, ed esclusivamente italiani, “vittime dell’occupazione slava del settembre-ottobre 1943” in Istria. Non si capisce come potessero essere “esclusivamente italiani” uomini che – nonostante l’italianizzazione dei cognomi avvenuta nel ventennio fascista – nel 1943 si chiamavano ancora Bembich, Bernobic, Bigliach, Billinich, Biuk, Calcich, Cozich, Declich, Dobrteh, Drassich, Falich, Juricich, Jurinich, Jagodich, Lazzarich, Lurcich, Millich (tutti nell’elenco del La Perna) e portavano altri “italianissimi” cognomi slavi. Non si capisce poi come si possa scrivere, come scrivono certi “storici” e politici neofascisti, che i sunnominati furono “vittime dell’occupazione slava del settembre-ottobre 1943” in Istria. Di quale occupazione si ciancia? Gli insorti e i partigiani dell’Istria, slavi e italiani, erano istrianissimi, vivevano sulla propria terra, la “occupavano” da secoli!
Nel volume di Luigi Papo “Albo d’oro” nel quale si elencano le cosiddette vittime degli slavocomunisti, incontriamo numerosi nominativi indicati come “scomparsi” dopo essere stati catturati e deportati dalle forze partigiane di Tito in Istria tra il 1943 e il 1945. Ebbene quegli stessi nominativi sono di caduti partigiani indicati in un documento pubblicato dallo storico triestino Roberto Spazzali nel volume “L’Italia chiamò. Resistenza politica
e militare italiana a Trieste 1943-1947”. Si tratta di combattenti per la libertà caduti nella provincia di Pola, trucidati dai nazisti o caduti in combattimento contro i nazifascisti.

In un libro bianco dello Stato Maggiore dell’Esercito Italiano, risalente al 1946 dal titolo “Trattamento degli Italiani da parte jugoslava dopo l’8 settembre 1943” (libro poi distrutto per ordine del Ministero degli Esteri) si dà per trucidato dai partigiani e gettato nella foiba di Cregli tale Pietro Toffoli di Oreste, il quale fu invece fucilato dai tedeschi il 29 settembre.
Nell’elenco delle vittime delle foibe del settembre istriano 1943 troviamo ancora i nominativi di Lorenzo Bonassin, gettato nella foiba di Terli, che invece cadde in combattimento da partigiano il 4 ottobre 1944, cioè un anno dopo essere stato “infoibato”, e di Luigi Godetti, inserito in un elenco di deportati dai partigiani sloveni e scomparso, quindi ipso facto infoibato, che cadde in realtà in combattimento a Delnice, sui monti della Croazia, negli ultimi giorni di guerra nel 1945.
Non mi dilungherò oltre. Sull’argomento ho scritto un libro che presto verrà alla luce, aggiungendosi ad altri miei saggi storiografici già usciti, come “Foibe e fobie” e “Mosaico foibe, nuove tessere”. Concluderò dicendo che una volta per tutte bisogna sottrarre la storia ai politici e ridarla agli storici, impedendo che se ne faccia strumento di scontro ideologico, respingendo – come ha scritto uno studioso triestino, Fulvio Senardi, “le ventate sempre più impetuose di revisionismo falsificante “. E’ nell’interesse dei popoli italiano, croato e sloveno, e in primis delle genti italiane e slave che vivono mescolate nell’area del confine orientale d’Italia, sconfiggere quelle forze politiche che nei loro programmi rifiutano la tolleranza e la convivenza attizzando invece l’odio, il razzismo e lo sciovinismo. Bisogna operare affinché la sparizione delle frontiere tra Italia e Slovenia, e presto anche di quelle con la Croazia in seguito all’allargamento dell’Unione Europea, si accompagni alla sparizione delle frontiere mentali, dei pregiudizi. Vogliamo uno spazio culturale intercomunicante – come lo fu per secoli, prima dell’avvento di ideologie dittatoriali – nel quale si intrecciano culture diverse, come in Istria e nell’intera Venezia Giulia. Lo spero per i nostri figli, che potranno finalmente operare in un laboratorio di tolleranza e convivenza, quale dovrebbe essere quella regione e non nell’incubo continuo degli spettri del passato, nell’angoscia di scontri nazionali.

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