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12 Febbraio, in piazza contro il fascismo!

Ci risiamo: con il Giorno del Ricordo alle porte (il 10 Febbraio ), l’Italia torna a riscoprire le vittime delle foibe e a piangerne la memoria sotto il giogo delle solite strumentalizzazioni ideologiche che negli anni ne hanno ignobilmente infangato il nome e la credibilità.

In nome di una verità storica mai del tutto appurata e di un patriottismo a uso e consumo delle masse strumentalizzate, la retorica di regime (forse meglio semplicemente di destra) anche quest’anno si ripresenta con puntualità a speculare su una delle questioni italiane più sentite ma mai del tutto chiarite, ingigantendo i numeri e asservendo alle logiche partitiche la sofferenza di chi ha pagato la tragedia delle foibe direttamente sulla propria pelle, in un più ampio disegno di mistificazione e revisionismo storico montato su ad hoc per riabilitare il ricordo della dittatura mussoliniana e screditare allo stesso tempo il movimento partigiano e antifascista, baluardo della nostra Costituzione.

E in questo clima di revisionismo e indottrinamento ideologico, l’associazione neofascista Casa Pound Ostia finisce con l’arrogarsi il diritto di commemorare il ricordo delle vittime delle foibe del Carso tingendole con i suoi vessilli infamanti  nella più becera e meschina delle tradizioni autoritarie e insultandole con la sua dialettica di slogan e proclami a comando, nel vano tentativo di camuffare le colpe storiche di quella tirannia assassina e razzista di cui si considerano fiera discendenza ai giorni nostri.

Ma ora basta!

La storia non può e non deve essere riscritta dal primo nostalgico fascista di turno che pretenda di cambiare il nostro passato per stravolgerne il presente!

Basta con queste pratiche di mistificazione e convincimento forzoso che mascherano la verità in luogo dell’ideologia!

Basta con la storia dei 20000 infoibati e dell’esilio di 350000 italiani, numeri gonfiati all’inverosimile (circa cinquecento vittime, per lo più militari, forze dell’ordine, funzionari dell’Italia fascista occupante la Jugoslavia e poche migliaia di esuli secondo la risoluzione della Commissione Mista italo-slovena del luglio 2000 ) e privi di fondamento che ogni anno crescono a dismisura solamente per far più colpo sull’opinione pubblica ignara e tenuta colpevolmente all’oscuro!

E soprattutto basta strumentalizzare le morti di cittadini italiani traditi dal loro stesso credo fascista!

Di fronte allo schifo dell’incessante propaganda revisionista fascista, il Collettivo l’Officina si tira fuori da quest’assurda e vergognosa politica di rivendicazioni ideologiche per lasciare la parola agli studiosi e alle stesse vittime del dramma, lanciando una campagna di sensibilizzazione mediatica e d’informazione a disposizione della cittadinanza tutta.

Tutti gli ANTIFASCISTI sono invitati il 12 Febbraio dalle ore 16 a presidiare con noi P.zza della Stazione Vecchia per non lasciare più spazio agli squadristi!

Posted in Generale.


Foibe: un’altra storia/3

Il revisionismo…

Intervista alla storica Alessandra Kersevan

Non è mai stato semplice trattare la questione delle foibe: stereotipi consolidati, revisionismo, metodologie di lavoro inesatte e giochi politici dei vari schieramenti hanno sempre invaso il terreno della ricerca storica. In questi ultimi anni è stata ottenuta la costruzione di una verità ufficiale, fin troppo sbrigativa e di comodo, che ha dato il via a commemorazioni, monumenti, lapidi, intitolazioni di strade.
Alessandra Kersevan, ex insegnante ed oggi paziente ricercatrice di storia e cultura della sua regione, il Friuli, da anni lavora al recupero della memoria storica in merito agli avvenimenti del confine orientale.

A Trieste la storia non comincia il 1° maggio 1945…
Sì, Sembra un’osservazione banale, eppure di fronte a tante cose che sono state scritte in questi anni sulle vicende del confine orientale occorre chiarire e ricordare che il fascismo in questa regione è stato più violento che in qualsiasi altra parte d’Italia: sloveni e croati, oltre cinquecentomila persone che abitavano le terre annesse dallo stato italiano dopo la prima guerra mondiale furono oggetto di persecuzioni razziali e ogni tipo di angherie: divieto di usare la loro lingua, chiusura delle scuole, delle associazioni ed enti economici sloveni e croati, arresto degli oppositori, esecuzioni di condanne a morte decise dal Tribunale Speciale. Con l’aggressione nazifascista alla Jugoslavia, nel 1941, la nostra regione divenne avamposto della guerra e le persecuzioni contro sloveni e croati, anche cittadini italiani, divennero ancora più gravi: interi paesi furono deportati nei campi di concentramento come Arbe/Rab, oggi in Croazia, ma allora annessa all’Italia dopo l’aggressione alla Jugoslavia, Gonars in provincia di Udine, Renicci di Anghiari in provincia di Arezzo, Chiesanuova di Padova, Monigo di Treviso, Fraschette di Alatri in provincia di Frosinone, Colfiorito in Umbria, Cairo Montenotte in provincia di Savona e decine e decine di altri, praticamente in tutte le regioni d’Italia. Fra 7 e 11 mila persone, donne, uomini, bambini, intere famiglie, morirono in questi campi, di fame e malattie. A Trieste nel 1942 fu istituito per la repressione della resistenza partigiana l’Ispettorato Speciale di Polizia per la Venezia Giulia, che si macchiò di efferati delitti contro gli antifascisti in genere, ma soprattutto contro sloveni e croati.

Da chi è stato inaugurato l’uso delle foibe?
Ci sono testimonianze autorevoli (per esempio dell’ispettore di polizia De Giorgi, colui che nel dopoguerra fu incaricato dei recuperi dalle foibe) che furono proprio uomini dell’Ispettorato speciale, in particolare quelli della squadra politica, la cosiddetta banda Collotti, a gettare negli “anfratti del Carso” degli arrestati che morivano sotto tortura. Comunque andando anche più indietro nel tempo, già durante la prima guerra mondiale, che fu combattuta soprattutto in queste terre, le foibe venivano usate come luogo di sepoltura “veloce” dopo le sanguinose battaglie, e nell’immediato dopoguerra i fascisti pubblicavano testi di canzoncine in cui si minacciava di buttare nelle foibe chi si ostinava a non parlare “di Dante la favella”.

Che funzione aveva la Banda Colotti?
La banda Collotti era la squadra politica dell’Ispettorato speciale guidata appunto dal commissario Gaetano Collotti. Con la sua squadra batteva il Carso triestino per reprimere la resistenza che già nel ’42 era iniziata in queste zone. Si macchiarono di efferati delitti, torturando e uccidendo centinaia di persone. Come Resistenzastorica stiamo pubblicando con la casa editrice Kappa Vu la ricerca di Claudia Cernigoi sulla banda Collotti. Nel corso di alcuni anni di ricerche Cernigoi è riuscita a trovare una quantità consistente di documentazione. Eppure in questo dopoguerra nessuno, neppure gli istituti storici di Trieste e di Udine, avevano pubblicato nulla sull’argomento.

Definiamo le foibe. Chi ci è finito dentro? Donne? Bambini? Quanti in tutto? Perché c’è così grande attenzioni su queste esecuzioni, mentre in altre zone ce ne furono in numero assai maggiore?
Nelle foibe non sono finite donne e bambini, i profili di coloro che risultano infoibati sono quasi tutti di adulti compromessi con il fascismo, per quanto riguarda le foibe istriane del ’43, e con l’occupatore tedesco per quanto riguarda il ’45. I casi di alcune donne infoibate sono legati a fatti particolari, vendette personali, che non possono essere attribuiti al movimento di liberazione. Questo diventa evidente quando si vanno ad analizzare i documenti, cosa che purtroppo la gran parte degli “storici” in questi anni non ha fatto, accontentandosi di riprendere i temi e le argomentazioni della propaganda neofascista. Va detto inoltre che i numeri non sono assolutamente quelli della propaganda di questi anni: è ormai assodato che in Istria nel ’43 le persone uccise nel corso della insurrezione successiva all’8 settembre sono fra le 250 e le 500, la gran parte uccise al momento della rioccupazione del territorio da parte dei nazifascisti; nel ’45 le persone scomparse, sono meno di cinquecento a Trieste e meno di mille a Gorizia, alcuni fucilati ma la gran parte morti di malattia in campo di concentramento in Jugoslavia. Uso il termine “scomparsi”, ma purtroppo è invalso l’uso di definire infoibati tutti i morti per mano partigiana. In realtà nel ’45 le persone “infoibate” furono alcune decine, e per queste morti ci furono nei mesi successivi dei processi e delle condanne, da cui risultava che si era trattato in genere di vendette personali nei confronti di spie o ritenute tali. C’è poi l’episodio della foiba Plutone, da cui furono estratti 18 corpi, in cui gli “infoibatori” erano appartenenti alla Decima Mas e criminali comuni infiltrati fra i partigiani, e furono arrestati e processati dagli stessi jugoslavi. Insomma se si va ad analizzare la documentazione esistente si vede che si tratta di una casistica varia che non può corrispondere ad un progetto di “pulizia etnica” da parte degli jugoslavi come si è detto molto spesso in questi anni.
La grande attenzione a questi fatti è funzionale alla criminalizzazione della resistenza jugoslava che fu la più grande resistenza europea. Di riflesso si criminalizza tutta la resistenza, e si è aperto il varco per criminalizzare anche quella italiana, come sta dimostrando ora Pansa con i suoi libri.

Gli studiosi delle foibe. Chi sono?
Sono di svariati generi. Quelli che noi chiamiamo un po’ ironicamente i “foibologi” sono tutti esponenti della destra più estrema, alcuni, come Luigi Papo hanno fatto addirittura parte della milizia fascista in Istria, di coloro cioè che collaborarono con i nazisti nella repressione della resistenza. Altri, più giovani, come Marco Pirina, sono stati esponenti di organizzazioni neofasciste negli anni della strategia della tensione (lui per esempio risulta coinvolto nel golpe Borghese). Poi c’è il filone degli storici che facevano riferimento al CLN triestino (organizzazione non collegata con il CLNAI) che fu il massimo organizzatore dell'”operazione foibe” a Trieste nel dopoguerra. Mentre può essere abbastanza facile capire le manipolazioni della “storiografia” fascista, è molto più difficile difendersi dalle manipolazioni della storiografia ciellenista, perché questi hanno un’aura di antifascismo che fa prendere per buone tutte le cose che scrivono. In realtà leggendo i loro libri ti accorgi che sono citazioni di citazioni da altri libri (spesso memorie di fascisti) non sottoposte a verifica. Il problema è che su tutta questa questione delle foibe ha pesato nel dopoguerra il clima della guerra fredda: voglio ricordare che un importantissimo documento di fonte alleata agli inizi del ’46 diceva: sospendiamo, non avendo trovato nulla di interessante, le ricerche nel pozzo della miniera di Basovizza, ma perché gli Jugoslavi non possano dire che è stata tutta propaganda contro di loro, diremo che lo abbiamo fatto per mancanza di mezzi tecnici adeguati. Ha pesato e pesa inoltre molto la questione dei confini, e il sentimento delle “terre ingiustamente perdute”, che anche se con toni un po’ diversi, coinvolge anche gli storici che fanno riferimento politicamente al centro sinistra. Ci sono però anche tantissimi storici seri. Per “seri” intendo quelli che non si accontentano di quello che è già stato scritto, ma che cercano nuova documentazione, la analizzano, la confrontano con quanto è già stato pubblicato e inseriscono gli avvenimenti nel contesto in cui sono avvenuti. Questo è il metodo storiografico che tutti dovrebbero usare, ma, sembrerà incredibile, nella questione della foibe e dell’esodo anche storici accademici e “blasonati” si sono lasciati andare a metodi da propagandisti più che da storici, preferendo le citazioni di citazioni di citazioni, piuttosto che la fatica della ricerca.

La foiba di Basovizza. C’è una lapide che commemora le vittime, eppure la storia sembra molto diversa…
La documentazione esistente, una documentazione piuttosto corposa, dice che nella miniera di Basovizza non ci furono infoibamenti. Già nell’estate del ’45, quindi pochissimo tempo dopo i pretesi infoibamenti, gli angloamericani procedettero per mesi a ricognizioni nel pozzo della miniera (infatti non si tratta di una foiba in senso geologico), in seguito alle denunce del CLN triestino che diceva che dovevano essere stati infoibati alcune centinaia di agenti della questura di Trieste. Poiché non fu trovato nulla di “interessante”, nei primi mesi del ’46 le ricerche furono sospese, come ho già spiegato prima. Tutto questo risulta da una gran quantità di documenti di fonte alleata, negli archivi di Washington e di Londra. Quindi nella “foiba” non ci sono i “500 metri cubi” di infoibati che sono scritti nella lapide, e neppure i duemila infoibati citati in libri. Dopo che Claudia Cernigoi  ha riportato questi documenti nel suo libro “Operazione foibe a Trieste” la cosa dovrebbe essere evidente a tutti che si occupano dell’argomento. Ma si fa finta di niente. Il comune di Trieste adesso ha ristrutturato il monumento sulla foiba e presto verrà il presidente del Senato Marini a inaugurarlo. La menzogna vive ormai di vita propria, e non si riesce a fermarla.

Le leggende sulle foibe.
Ho già spiegato che le biografie della gran parte degli uccisi sono di persone coinvolte a vario titolo nel regime fascista prima e nell’occupazione nazista poi. Come ben mette in luce Claudia Cernigoi nel suo libro, in una città come Trieste il collaborazionismo interessò tantissime categorie di persone, e molti di quelli che vengono definiti “civili” erano in realtà e collaborazionisti, delatori di professione, spioni di quartiere che denunciavano gli ebrei. Per esempio ai rastrellamenti sul Carso con la banda Collotti partecipavano anche persone che non erano ufficialmente appartenenti alla questura. Come gruppo di Resistenzastorica abbiamo condotto una ricerca sulla vicenda di Graziano Udovisi, conosciuto come “l’unico ad essere uscito vivo dalla foiba” e presentato come una vittima “solo perché italiano”. Da questa ricerca è emerso, oltre alla assoluta falsità del suo racconto, che egli dal ’43 al ’45 era stato tenente della Milizia Difesa Territoriale, in un gruppo dal nome significativo di “Mazza di Ferro”, specificamente preposto alla repressione della guerriglia, e che nel ’46 fu condannato per crimini di guerra a 2 anni e 11 mesi di reclusione. Eppure nel 2005 Graziano Udovisi è diventato “uomo dell’anno”, premiato con l’Oscar della Rai per una sua intervista a Minoli, che lo ha presentato come uno che è stato “infoibato” “solo perché italiano. Come ho già detto: storici, giornalisti e tutti coloro che scrivono di queste cose in questi anni di Giornate del Ricordo, dovrebbero sapere che intorno a queste vicende c’è tanta propaganda, e che quindi bisogna informarsi bene prima di scrivere.

L’atteggiamento della destra e della sinistra.
Non si vede una grande differenza. La destra fascista ha trovato in questo argomento la possibilità di ribaltare il discorso delle responsabilità nella seconda guerra mondiale, passando da carnefici a vittime, con la possibile riabilitazione dei repubblichini di Salò ecc. La sinistra ha trovato l’occasione per prendere le distanze dal proprio passato partigiano, con tutta una serie di distinguo e di “ammissioni” in cui le foibe erano funzionali in quanto venivano attribuite a partigiani, sì, ma “slavi” (e si sa che il razzismo antislavo è molto diffuso) e quindi la resistenza italiana poteva restarne fuori. La miopia di una simile posizione la si vede oggi, con un’operazione come quella di Giampaolo Pansa, che attacca direttamente la resistenza italiana.
C’è da dire, inoltre, che l'”operazione foibe” è funzionale alla politica estera italiana, tradizionalmente “espansionistica” verso la penisola balcanica. Anche in questo senso, centrodestra e centrosinistra non si distinguono. Noi di Resistenzastorica abbiamo una raccolta impressionante di dichiarazioni di esponenti del centro sinistra in senso neoirredentista, cioè tese alla rivendicazione delle “terre perdute”, tema che oltre ad essere stato sempre tipico della destra, sembrerebbe oggi anche antistorico, nel momento dell’allargamento dell’UE. Eppure le dichiarazioni ci sono, anche di personaggi come Fassino.

Che cosa significa oggi commemorare i morti delle foibe?
Come ho spiegato, commemorare i morti nelle foibe significa sostanzialmente commemorare rastrellatori fascisti e collaborazionisti del nazismo. Per gli altri morti, quelli vittime di rese dei conti o vendette personali, c’è il 2 di novembre.

Che cosa andrebbe fatto per restituire dignità alla memoria storica del paese?
Per quanto riguarda la dignità del paese, credo che l’unica cosa da fare sia smettere quella convinzione nazionale che gli italiani siano sempre stati “brava gente”, che dovunque sono andati hanno portato la civiltà, anche quando bruciavano i villaggi della Croazia, o impiccavano i ribelli libici. Gli italiani debbono rendersi conto che la repubblica italiana non ha mai fatto veramente i conti con le responsabilità del fascismo. Dietro al discorso delle foibe c’è proprio l’interesse di continuare a nascondere queste responsabilità. Infatti la proposta italiana di incontro trilaterale fra i presidenti di Italia, Slovenia, Croazia, sui luoghi della memoria, inserendo la Risiera di San Sabba, il campo di concentramento di Gonars (o quello di Arbe) e la foiba di Basovizza, non è altro che un tentativo di gettare fumo negli occhi, di far dimenticare i crimini di guerra italiani in quei territori equiparando la foiba di Basovizza alla Risiera, unico campo di concentramento nazista con forno crematorio, in cui morirono oltre 3000 persone, soprattutto partigiani italiani, sloveni e croati, o ai campi di concentramento in cui morirono almeno settemila sloveni, croati, serbi, montenegrini. Il presidente della Repubblica dovrebbe andare di propria iniziativa ad Arbe in Croazia, o a Gonars a rendere omaggio alle vittime del fascismo, e a chiedere scusa agli ex jugoslavi. Questo dovrebbe essere la prima cosa da fare. Poi dovrebbe far pubblicare i risultati della commissione storica italo-slovena, che il governo italiano si era impegnato a pubblicare ma non ha mai fatto. Poi il governo di centro sinistra potrebbe obbligare la RAi a trasmettere in prima serata il documentario “Fascist legacy / L’eredità fascista”, sui crimini di guerra italiani in Etiopia, Libia e Jugoslavia (Nota: pubblicato sul nostro blog). Questo documentario della BBC fu acquistato nell’89 dalla RAI, ma mai trasmesso.

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Foibe: un’altra storia/2

Scritto dello scrittore e giornalista Giacomo Scotti:

Il periodo delle cosiddette “foibe” istriane va dall’inizio della seconda metà di settembre al 4 ottobre 1943, coincidendo con l’insurrezione generale del popolo dell’Istria. Quell’insurrezione vide uniti croati, sloveni e italiani senza distinzione. Un primo tentativo di rivolta c’era già stato il 25 luglio, ma le forze di polizia lo impedirono ovunque, richiamandosi allo stato di guerra. All’indomani dell’8 settembre, invece, nulla poté fermare il popolo; il movimento assunse il carattere di una “jaquerie” contadina nell’interno prevalentemente abitato da slavi e di una rivoluzione antifascista sulla fascia costiera occidentale prevalentemente abitata da italiani. Il popolo, ma soprattutto croati e sloveni che erano stati oppressi per un ventennio, privati d’ogni diritto, perfino della lingua, esultò per la fine di una lunga tirannide e per la fine – almeno  così si sperava – della guerra; al tempo stesso fu reclamata la punizione dei fascisti e il loro allontanamento dal potere. Le autorità italiane, purtroppo, furono sorde alle richieste ed in molti casi reagirono ordinando di aprire il fuoco contro la folla, come avvenne a Pola. In quel capoluogo istriano stazionavano più di 15.000 soldati e marinai, ma questa enorme forza militare fu usata non per far fronte alla calata dei tedeschi che era stata preannunciata, ma per sbaragliare i dimostranti riunitisi nel centro città la mattina del 9 settembre: tre operai furono uccisi, numerosi altri feriti, altri ancora arrestati. Dopo di che, alcuni giorni dopo, l’intero potere militare venne ceduto a un battaglione di poco più di 350 tedeschi presenti in città da prima.
A fine mese, con l’arrivo di alcuni reggimenti corazzati germanici che occuperanno l’intera penisola, i gerarchi fascisti usciranno dall’ombra in cui si erano nascosti per una settimana, accompagnando quei reparti nazisti nelle azioni di rastrellamento, repressione e sterminio. Il 16 settembre ci fu la prima strage: ai prigionieri rilasciati dal carcere di Pola per iniziativa dei secondini, fu data una caccia spietata dai fascisti e dai tedeschi e tutti quelli che vennero catturati, almeno venticinque, furono trucidati o impiccati agli alberi di via Medolino e in località Montegrande.

Nell’interno dell’Istria, dove invece i tedeschi non riuscirono a mettere piede, il popolo prese nel frattempo il potere nelle proprie mani, costituendo Comitati di liberazione, Comitati di salute pubblica eccetera. Ma spesso ci fu il caos. Qua e là i contadini assalirono i Municipi, le Case del Fascio, i tribunali ed altre istituzioni, dando fuoco agli archivi; inoltre aggredirono, arrestarono e talvolta uccisero persone considerate caporioni del vecchio regime. Alcuni gerarchi, alcuni ricchi possidenti terrieri, ma anche semplici fascisti’ e perfino innocenti furono massacrati. I più, tuttavia, vennero consegnati agli improvvisati “tribunali del popolo” che dal 15 settembre avevano cominciato a funzionare a Pisino, Pinguente ed Albona. Quasi sempre i “giudici” condannavano gli imputati alla fucilazione dopo processi sommari ed i cadaveri trovarono oltraggiosa sepoltura nelle cavità carsiche dette “foibe” o nelle cave di bauxite, alcune delle quali erano state già adoperate allo stesso scopo dai fascisti nel periodo fra le due guerre mondiali.
Nella loro maggioranza le vittime dell’insurrezione furono italiani, ma non ci fu un piano preordinato di genocidio, né si può parlare di genocidio.
In molte località i fascisti arrestati furono rimessi in libertà; a Pinguento furono liberate 100 persone. Gli italiani. furono la maggioranza delle vittime perché in stragrande maggioranza erano stati italiani i podestà, i segretari del Fascio, i detentori del potere politico ed economico, i grandi proprietari terrieri ed altri esponenti del regime. Non mancarono però fra le vittime croati e sloveni, accusati di essersi posti al servizio dei fascisti durante il ventennio. Fra gli slavi, anzi, furono più numerosi gli innocenti uccisi per vendette personali. D’altra parte, in una regione dove nei secoli, attraverso matrimoni misti, si sono mescolati slavi e italiani, è pressoché impossibile distinguere dai cognomi gli uni dagli altri. Tanto più che nel ventennio fascista il regime cambiò per legge i cognomi ai cosiddetti “allogeni” e/o “alloglotti”. I Nikolic’ divennero Niccolini e Niccoletti, i Simunovic’ cambiarono in Simonetti, Simoni e Simoncini, i Milic’ si trasformarono in Millo, gli Jugovac in Meriggioli, i Miljavac in Miglia, i Knapic’ in Cnappi e Nappi, e si potrebbe continuare. Come distinguere slavi da italiani leggendo i nomi e cognomi degli infoibati nel settembre 1943? Erano tutti italiani. Certo, ci fu anche una spinta nazionalistica slava, e non sarò io a sminuire il grado della feroce violenza e l’orrendo aspetto degli infoibamenti; né si può coprire col silenzio il sangue delle vittime innocenti della rivolta istriana. E’ però necessario tracciare un quadro corretto degli avvenimenti, contestualizzandoli, inserendoli nella cornice storica, ricordando i precedenti.
Le vittime di un odio accumulatosi per venti anni, frutto di umiliazioni, espropriazioni, persecuzioni, di centinaia di condanne al carcere, al confino ed anche a morte, furono alcune centinaia, ma le cifre sono ballerine. Dalle cavità carsiche furono estratte 203 salme nelle operazioni di recupero organizzate dalle autorità nazifasciste e, sempre in quell’epoca, strumentalizzate per mesi e mesi ai fini della propaganda anti-slavocomunista. Tuttavia, sempre in quell’epoca, la cifra fu “arrotondata” e portata alle 350-400 unità con l’aggiunta ad occhio e croce di salme che non poterono essere recuperate e di cosiddetti “scomparsi”. Nel secondo dopoguerra gli storici più seri, al di là degli orientamenti politici, hanno calcolato che le vittime ammontarono a circa 500. Su questa cifra concordano S. Millo autore del volume “I peggiori anni della nostra vita”, Galliano Fogar, Roberto Spazzali, Raoul Pupo ed altri.
Gli storici ex fascisti o neofascisti, invece, sparano cifre che vanno dai 600 di Flaminio Rocchi agli 800 di Gaetano La Perna, per salire via via a mille, alcune migliaia. Naturalmente “tutti italiani” e tutti vittime della “barbarie slavocomunista”. Luigi Papo ex ufficiale della Milizia fascista al servizio dei tedeschi in Istria, il più fecondo “storico” delle foibe di estrema destra, è arrivato a scrivere che gli “eccidi” portarono alla “eliminazione del 5 per cento degli Italiani”! Insomma, si sono toccati livelli incredibili di esagerazioni e di falsificazioni. Queste mistificazioni, dirò con Peter Behrens, non fanno certamente onore ai vivi che vedono travolta la realtà dei fatti, né fanno onore ai morti. Dietro c’è una voglia di giustificazione del tradimento, del collaborazionismo e dei crimini di guerra commessi dai fascisti. Più avanti fornirò alcuni esempi di come sono stati falsificati perfino gli elenchi nominativi degli infoibati per poter aumentare le cifre.
Ma prima è opportuno ricordare un altro fatto storico della vicenda istriana dell’autunno 1943, anche per rispondere a coloro i quali affermano che il “genocidio degli italiani in Istria è rimasto impunito”.
Alla breve parentesi dell’insurrezione popolare e della sanguinosa violenza che l’accompagnò, fece seguito l’ancor più feroce violenza degli occupatori tedeschi e dei collaborazionisti fascisti italiani. Dilagati in Istria con ingenti forze dal 2 al 10 ottobre, guidati dai fascisti locali, i tedeschi fecero terra bruciata appiccando il fuoco a decine di paesi, fucilando, impiccando, deportando. Nel solo mese di ottobre 1943 – stando ai loro bollettini di guerra – trucidarono 5216 persone, in maggior parte civili e partigiani, ma anche parecchi “badogliani”. Altre diecimila persone (certe fonti parlano di dodicimila) furono invece deportate. Per inciso l’Istria ha dato oltre 17.000 morti tra vittime della repressione nazifascista, morti nei lager e caduti nella Resistenza armata.
Riunitisi nel Partito Fascista Repubblicano, arruolatisi nella Guardia Nazionale Repubblicana, nella Milizia Difesa Territoriale e, più tardi, nella Decima Mas e perfino nei reparti SS e nella Gestapo, i fascisti tornarono al loro vecchio mestiere di manganellatori, torturatori, delatori, cacciatori di teste, di assassini, giustificando il tutto con il “diritto” di vendicare i camerati infoibati e con il “dovere” di “difendere l’italianità dell’Istria minacciata dalla barbarie slavocomunista”, come fu scritto allora e come si continua a scrivere oggi.

Ed eccoci alle falsificazioni operate negli elenchi degli “infoibati” dai revisionisti neofascisti, fra i quali troviamo uomini che comandarono reparti repubblichini postosi al servizio degli occupatori tedeschi in Istria, come il già menzionato Luigi Papo de Montona, che hanno annoverato fra le vittime delle foibe anche criminali di guerra che massacrarono civili e partigiani, ma ebbero la fortuna di morire combattendo. Comincerò dal nome di GIOVANNI POLLA, già brigadiere dell’OVRA passato alle SS ed alla Gestapo a Pola subito dopo l’annessione dell’Istria al III Reich nel quadro della “Adriatisches Kuestenland” nell’ottobre ’43. Questo Polla si distinse fra gli efferati torturatori di combattenti per la libertà caduti nelle mani degli agenti sotto il suo comando, soprattutto se erano italiani. Nell’ultimo scorcio della guerra, febbraio 1945, rimase ucciso in uno scontro nel centro di Pola, colpito dal fuoco di un gappista. Si era macchiato del sangue di decine e decine di civili istriani, italiani e croati senza distinzione; li aveva torturati mentre si trovavano in carcere prima di essere fucilati o impiccati. Era nativo di Altura nei pressi di Pola, dunque istriano, ma fu uno dei più feroci carnefici dei suoi conterranei.
Nell’elenco dei torturatori e degli assassini fascisti al servizio delle SS e della Gestapo in Istria troviamo ancora altri cosiddetti “infoibati”, tutti caduti invece in scontri a fuoco con gappisti istriani. Ricorderemo gli squadristi e agenti Francesco Mizzan di Pisino, che aveva sulla coscienza l’assassinio di Peppi Suster di Bellai, di Giovanni Suran, di Francesco Raunich e di altri corregionali trucidati già nell’ottobre 1943 quando il Mizzan passò al servizio dei tedeschi; l’ufficiale delle SS Ottone Niccolini di Pola ritenuto un sanguinario dagli stessi occupatori tedeschi dai quali fu comunque decorato con la Croce di ferro; Stevo Ravegnani da Rovigno, il federale Luigi Bilucaglia posto alla testa della Federazione Istriana del Partito Fascista Repubblicano, il vicefederale Giuseppe Zacchi; il comandante di un reparto della cosiddetta Milizia per la Difesa Territoriale, tenente Fausto Vardabasso, ed altri caporioni della Guardia Nazionale Repubblicana, tutti servi fedeli dei nazisti. Ottone Niccolini (già Nikolic’) pagò il fio dei suoi crimini rimanendo ucciso nello scontro con un gappista a Pola il 7 aprile 1945. Anche il suo nome viene spesso annoverato tra gli “infoibati” dai cosiddetti “storici” revisionisti. Così come quello di Giuseppe Bradamante, malfamato fascista di Stignano, assassino e torturatore di partigiani, da questi ucciso in uno scontro a Pola avvenuto il 1° ottobre 1944. La medesima fine fece l’agente delle SS Steno Ravegnani già eminente fascista di Rovigno, il quale si vantava in giro di aver ucciso 37 partigiani, fra i quali il capo dei combattenti italiani per la libertà in Istria, Giuseppe-Pino Budicin, caduto in mano ai tedeschi su delazione del Ravegnani e fucilato insieme ad Augusto Ferri, bolognese, l’8 febbraio 1944. Il nome di Budicin fu dato al più celebre battaglione italiano dell’Istria. Anche il già citato Niccolini andava vantandosi di aver ucciso di propria mano oltre 150 persone, bruciando case e villaggi interi. Tra l’altro gli uomini sotto il suo comando arrestarono una contadina di Resanzi, Rosa Petrovic, accusandola di aiutare i partigiani. Per costringerla a fare dei nomi, le strapparono gli occhi dalle orbite, ma la donna non parlò. Io personalmente ho conosciuto ed ho parlato con quella contadina facendomi raccontare le torture subite il 23 luglio 1944, il più lungo ed infernale giorno della sua vita.

Il villaggio istriano di Lipa, bruciato con tutti i suoi abitanti il 30 aprile 1944, resta uno dei simboli del martirio subito dall’Istria dopo l’occupazione tedesca. Esso è anche il simbolo del collaborazionismo criminale dei repubblichini italiani al servizio dei tedeschi nello sterminio del proprio popolo: 269 creature umane di ambedue i sessi e di ogni età, compresi i bambini nelle culle e di pochi anni, furono massacrate, bruciate vive; prima di essere trucidate molte donne vennero violentate. Fu un delitto spaventoso, suprema espressione della ferocia umana. A guidare i tedeschi ed aiutarli nel crimine furono i fascisti italiani.
Gli istriani trucidati in questo modo, fucilati o impiccati con la complicità dei fascisti furono complessivamente più di cinquemila, mentre ammontano a tremila i deportati nei campi di sterminio, dalla Risiera di S. Sabba a Trieste fino a Dachau, Auschwitz ed altri lager. Ecco, quando ricordiamo la pagina tragica delle foibe, non dimentichiamo quest’altra faccia della medaglia, molto più orrenda, l’interminabile capitolo delle vendette.
In un elenco di 237 infoibati redatto ancora nel novembre 1943 dalla Federazione del Fascio Repubblicano di Pola, elenco poi ampliato dai neofascisti nel dopoguerra, troviamo i nomi delle sorelle rovignesi Alice e Giuseppina Abbà che, invece, furono arrestate dai partigiani appena nel settembre 1944 e fucilate con l’accusa di essere state spie dei tedeschi. Fra i ventisei nominativi di Rovignesi dati per infoibati si fanno pure i nomi di Tommaso Bembo, Angelo Rocco e Vittorio Demartini, che invece rimasero uccisi sotto un bombardamento tedesco a Gimino alla fine di settembre del ’43. Insieme ai rovignesi c’è il sottufficiale tedesco Weber Gastone, anche lui elencato fra gli italiani infoibati, mentre venne catturato e fucilato qualche settimana dopo la fine della guerra, maggio 1945, per essersi macchiato di crimini di guerra. In un “Elenco delle persone uccise o scomparse nel settembre-dicembre 1943”, pubblicato da Gaetano La Perna, troviamo 360 nominativi di infoibati. Ebbene, almeno una cinquantina rimasero uccisi in scontri armati prima o molto dopo l’estate-autunno del ’43: ad esempio il maresciallo dei carabinieri Giuseppe Costanzo, caduto in uno scontro con i partigiani sloveni a Comeno il 10 agosto ’43, quindi lontanissimo dall’Istria. In questa (e ancor più in altre fonti di estrema destra) si legge poi di italiani, ed esclusivamente italiani, “vittime dell’occupazione slava del settembre-ottobre 1943” in Istria. Non si capisce come potessero essere “esclusivamente italiani” uomini che – nonostante l’italianizzazione dei cognomi avvenuta nel ventennio fascista – nel 1943 si chiamavano ancora Bembich, Bernobic, Bigliach, Billinich, Biuk, Calcich, Cozich, Declich, Dobrteh, Drassich, Falich, Juricich, Jurinich, Jagodich, Lazzarich, Lurcich, Millich (tutti nell’elenco del La Perna) e portavano altri “italianissimi” cognomi slavi. Non si capisce poi come si possa scrivere, come scrivono certi “storici” e politici neofascisti, che i sunnominati furono “vittime dell’occupazione slava del settembre-ottobre 1943” in Istria. Di quale occupazione si ciancia? Gli insorti e i partigiani dell’Istria, slavi e italiani, erano istrianissimi, vivevano sulla propria terra, la “occupavano” da secoli!
Nel volume di Luigi Papo “Albo d’oro” nel quale si elencano le cosiddette vittime degli slavocomunisti, incontriamo numerosi nominativi indicati come “scomparsi” dopo essere stati catturati e deportati dalle forze partigiane di Tito in Istria tra il 1943 e il 1945. Ebbene quegli stessi nominativi sono di caduti partigiani indicati in un documento pubblicato dallo storico triestino Roberto Spazzali nel volume “L’Italia chiamò. Resistenza politica
e militare italiana a Trieste 1943-1947”. Si tratta di combattenti per la libertà caduti nella provincia di Pola, trucidati dai nazisti o caduti in combattimento contro i nazifascisti.

In un libro bianco dello Stato Maggiore dell’Esercito Italiano, risalente al 1946 dal titolo “Trattamento degli Italiani da parte jugoslava dopo l’8 settembre 1943” (libro poi distrutto per ordine del Ministero degli Esteri) si dà per trucidato dai partigiani e gettato nella foiba di Cregli tale Pietro Toffoli di Oreste, il quale fu invece fucilato dai tedeschi il 29 settembre.
Nell’elenco delle vittime delle foibe del settembre istriano 1943 troviamo ancora i nominativi di Lorenzo Bonassin, gettato nella foiba di Terli, che invece cadde in combattimento da partigiano il 4 ottobre 1944, cioè un anno dopo essere stato “infoibato”, e di Luigi Godetti, inserito in un elenco di deportati dai partigiani sloveni e scomparso, quindi ipso facto infoibato, che cadde in realtà in combattimento a Delnice, sui monti della Croazia, negli ultimi giorni di guerra nel 1945.
Non mi dilungherò oltre. Sull’argomento ho scritto un libro che presto verrà alla luce, aggiungendosi ad altri miei saggi storiografici già usciti, come “Foibe e fobie” e “Mosaico foibe, nuove tessere”. Concluderò dicendo che una volta per tutte bisogna sottrarre la storia ai politici e ridarla agli storici, impedendo che se ne faccia strumento di scontro ideologico, respingendo – come ha scritto uno studioso triestino, Fulvio Senardi, “le ventate sempre più impetuose di revisionismo falsificante “. E’ nell’interesse dei popoli italiano, croato e sloveno, e in primis delle genti italiane e slave che vivono mescolate nell’area del confine orientale d’Italia, sconfiggere quelle forze politiche che nei loro programmi rifiutano la tolleranza e la convivenza attizzando invece l’odio, il razzismo e lo sciovinismo. Bisogna operare affinché la sparizione delle frontiere tra Italia e Slovenia, e presto anche di quelle con la Croazia in seguito all’allargamento dell’Unione Europea, si accompagni alla sparizione delle frontiere mentali, dei pregiudizi. Vogliamo uno spazio culturale intercomunicante – come lo fu per secoli, prima dell’avvento di ideologie dittatoriali – nel quale si intrecciano culture diverse, come in Istria e nell’intera Venezia Giulia. Lo spero per i nostri figli, che potranno finalmente operare in un laboratorio di tolleranza e convivenza, quale dovrebbe essere quella regione e non nell’incubo continuo degli spettri del passato, nell’angoscia di scontri nazionali.

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Foibe: un’altra storia/1

Il contesto storico delle “foibe”…

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La Classe Operaia Conquisterà il Paradiso

Il collettivo politico “l’Officina” sceglie, in questi giorni che precedono lo sciopero nazionale dei lavoratori metalmeccanici indetto per il 28 gennaio, di esprimere tutta la sua solidarietà agli operai in lotta contro il nuovo contratto FIAT.

La mancanza di poli industriali FIAT nel nostro territorio non ci rende estranei a questa vicenda di carattere nazionale, trasversale non solo all’azienda torinese, ma anche ai diversi settori lavorativi. Infatti, quello che a più riprese è stato definito “modello Marchionne”, sponsorizzato dai partiti di governo (e spesso anche di opposizione), dagli industriali e dalla maggioranza dei sindacati istituzionali, viene visto non solo come una medicina efficace per l’azienda di Torino ma per tutta l’industria e l’economia italiana, quindi auspicabile per un futuro utilizzo in tutti i settori lavorativi. Per questo il collettivo ha scelto, con azioni simboliche e d’impatto, di richiamare l’attenzione della popolazione del tredicesimo municipio su una battaglia che se oggi interessa solo i lavoratori FIAT, a breve potrebbe riguardare tutto il comparto produttivo nazionale.

Il “modello Marchionne”, un accordo di lavoro estraneo allo stesso Contratto Collettivo Nazionale, è espressione di un nuovo piano capitalista che mira a cancellare tutte le conquiste dei lavoratori fatte in più di cent’anni di lotte, al fine di ridurre il dissenso nelle fabbriche e nei posti di lavoro in cambio di un maggior profitto della classe dirigente. Lo stesso accordo di lavoro, aldilà del proprio contenuto, è stato proposto agli operai come un ricatto contrario a ogni logica “democratica”, un referendum a senso unico, della serie: o un contratto a nostro favore e contro i vostri interessi o la disoccupazione.

Nello specifico poi, questo contratto, sembra portarci indietro in un passato industriale che a oggi lo si poteva trovare solo nei romanzi di Charles Dickens o nei paesi dell’Asia e dell’Est Europa. Infatti, questo nuovo modello, prevede ad esempio una riduzione delle pause di lavoro sulla catena di montaggio che vanno dalle due di 15 minuti e una da 10 del contratto precedente, a tre di 10 minuti con il nuovo accordo. Quelli che a qualcuno potrebbero sembrare solo dieci minuti, sulla catena di montaggio sono un’eternità, in oltre, meno pause sul lavoro vogliono dire più stanchezza e distrazioni, distrazioni che in fabbrica troppo spesso si vanno a trasformare in incidenti a volte anche fatali. Abbiamo raffigurato sul nostro territorio sagome di operai, per sottolineare che già troppi morti ci sono stati per gli interessi del padronato. Ma questo contratto prevede anche la creazione di turni lavorativi di 10 ore sulla catena di montaggio, non che la possibilità dell’azienda di indire straordinari obbligatori senza preavviso ai sindacati, il mancato pagamento della malattia se in concomitanza ai giorni di ferie, permesso o riposo settimanale (non ci si può ammalare di lunedì, eh!), corsi formativi obbligatori e non retribuiti, cancellazione di ogni premio di risultato.

La rappresentanza sindacale all’interno della fabbrica non sarà più eletta dai lavoratori ma dall’azienda, che tollererà esclusivamente la presenza negli stabilimenti dei sindacati firmatari dell’accordo. Inoltre la dirigenza si avvale della possibilità di sanzionare individualmente (anche con il licenziamento) chi non rispetta tutte le clausole del contratto, in parole povere vietando ogni forma di dissenso nei confronti dell’accordo ledendo quello che da sempre viene ritenuto uno dei diritti principi, quello allo sciopero.

Per tutti questi motivi il collettivo “l’Officina” si schiera affianco dei lavoratori in lotta, perché sa che se ieri è toccato ai lavoratori di Pomigliano, oggi a quelli di Mirafiori, domani potrebbe toccare a tutti noi!

Vogliamo inoltre denunciare la complicità dei sindacati istituzionali e dei partiti politici con questo piano industriale. Vogliamo denunciare come il partito erede della “sinistra” italiana, il PD, sia rimasto in molti casi colpevolmente in silenzio riguardo alla questione del “modello Marchionne” o altrimenti si sia schierato in favore del contratto, come hanno fatto il sindaco di Firenze Renzi e quello di Torino Chiamparino, due persone che molti vedono come il futuro del partito. Non c’è bisogno invece di commentare il ruolo dei partiti di governo come il PDL, che ha sempre difeso a spada tratta gli interessi degli industriali, e la Lega, che si dimostra un burattino manovrato dall’ establishment.

Poi ci sono tutti quei sindacati collaborazionisti come Cisl e Uil che hanno scelto di firmare il contratto di Marchionne senza opporre nessuna resistenza, anzi, spesso dichiarandosi entusiasti di questa novità, felici di non avere bisogno più del consenso degli operai ma di quello dell’azienda. Per non parlare dell’impegno profuso dagli stessi per dividere il proletariato e  mettere i lavoratori l’uno contro l’altro per indebolirli! E oltre tutto sarebbe importante che la Cgil oltre le parole forti, convocasse lo sciopero generale, utile per mostrare come il contratto FIAT non sia una questione interna all’azienda di Torino ma che riguarda tutti i lavoratori.

Vogliamo poi precisare che il collettivo “l’Officina” si schiera con i lavoratori metalmeccanici e non con i sindacati. Oggi apprezziamo l’impegno della FIOM in questa giusta lotta, anche se non sempre abbiamo potuto dire lo stesso del suo operato. Per questo ci affianchiamo e proponiamo la lotta operaia autorganizzata, una lotta che escluda ogni possibilità di sotterfugio e ambiguità, perché se è l’individuo a farsi carico del proprio bene non si andrà mai incontro a fraintendimenti ma a condizioni lavorative corrette. È l’autogestione e l’organizzazione orizzontale il futuro della lotta!

Forse può sembrare in questo comunicato che abbiamo usato termini e concetti di altri tempi, superati, perché  parliamo ancora di turni di lavoro al posto di Joint Venture, perché parliamo di capitalismo al posto di investimenti, perché parliamo di proletariato nel 2011, ma nella realtà dei fatti, gli operai esistono ancora, così come esistono capitalisti stile Marchionne il cui unico interesse è il profitto. Non possiamo chiudere gli occhi davanti a ciò, non possiamo illuderci di un futuro di benessere generale derivato dal capitalismo, perché l’unico sbocco possibile è sempre maggior disuguaglianza a favore di pochi.

SOLIDARIETA’ AI LAVORATORI IN LOTTA

INSIEME NELLO SCIOPERO DEL 28 GENNAIO

Collettivo “l’Officina”


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